avvenuta Venerdì 23 Gennaio 2015 nella libreria ODRADEK di Milano
Di fronte ad un interessato pubblico e con la cortese ospitalità della libreria milanese Odradek, che ancora qui si ringrazia, abbiamo presentato il bel libro di Giovanni Sessa, con una premessa di Sandro Giovannini, una sintetica introduzione di Davide Bigalli ed una altrettanto significativa rilettura complessiva dell’autore.
Giovannini ha richiamato l’effetto duraturo della precedente monografia di Giovanni Sessa, dedicata alla figura di A. Emo, come la cornice entro la quale anche questi saggi qui raccolti in volume, si sono determinati, pur nella differenziazione delle rispettive specifiche indagini, sottolineando la precisa caratterizzazione fattane dal Prof. Bigalli nella Presentazione che coglie la sostanza complessiva del libro di Sessa. Illuminanti due passaggi della stessa Presentazione:
“ ... Ebbene, è proprio nella misura in cui la Tradizione si pone come polo dialettico, come elemento di un complesso dinamico insieme alla rivoluzione, che essa si denuncia come posizione culturale decisamente non reazionaria, come strumento di un progresso che è finalmente sottratto alla egemonia dello sviluppo, cioè alla dimensione meramente quantitativa, materialistico-produttivistica del cammino dell’umanità. Torna forse opportuno ricordare come in altra area culturale dell’Occidente, la coppia di tradizione e rivoluzione ritorna nelle posizioni programmatiche del saudosismo di Teixeira de Pascoaes, nel programma della Renascença Portuguesa A indicare come, proprio a partire dalla Rivoluzione francese, nella cultura dell’Occidente si viene formulando una proposta alternativa, che denuncia e intende sottrarsi all’egemonia dell’Ulisse giacobino, alla lettura mercantilistico-capitalistica del progresso, a una democrazia che, fin dalle sue prime formulazione teoriche in Rousseau, non riesce a occultare la sua natura dispotica. È il costituirsi di un pensiero dissidente.
(...)
In un mondo come l’attuale, dove il termine “altro” e i suoi derivati viene visibilmente impiegato in tutti gli ambiti e serve a dare una dimensione auratica alla banalità del quotidiano borghese, viene rimossa la reale alterità, quell’alterità che è scaturigine della umanità, l’elemento stabile che accompagna il percorso dell’uomo lungo i corridoi del tempo...”
Tale seconda rilettura sarà ripresa anche nel successivo dibattito con il pubblico, che verterà sulla necessità del superamento definitivo della visione dicotomica, spostando proprio nel Soggetto, nuovamente responsabilizzato, la ricerca del vero e del giusto. Nel libro comunque si richiama insistentemente il contesto filosofico, ancora pienamente ricco di effetti ed in realtà aggravato nella crisi ma non mai risolto in definitive soluzioni epocali che ha caratterizzato tutta l’epoca della modernità, nelle grandi figure dell’idealismo, nelle due versioni jenese ed heidelbergeriana, e soprattutto in quella sorta di suprema mediazione e sintesi di Schelling, fino allo scatenamento nihilista, che riattraversato nella dimensione del transattualismo emiano e dell’ultraidealismo evoliano, ambedue sui generis, trovano poi in tutte altre voci, ben diverse per corpo e tonalità, le grandi lezioni di Jung ed Hillman e quelle, mai ben accolte e mai d’altronde fortunatamente superate, di Colli e di Zolla, tutte sempre comunque attente al grande lavoro fatto dalla Scuola di Vienna ed a quella sorta di obbligata postumità: «L’uomo postumo non è soltanto l’uomo che sopravvive come mero fantasma alla fine del Soggetto. È anche l’uomo che inizia l’ascolto dell’Ab-grund» come già a suo tempo repertava Cacciari in Dallo Steinhof... Giovannini ha insistito proprio sulla differenza di linguaggi riconducibili però (per vie del tutto interne, ma se comprese, ben risalibili), ad una sostanziale unità di visione del mondo che non è materia divisiva se non per i letteralisti di ogni scuderia e per i pervicaci sostenitori delle divisioni dettate dal tronfio mercatismo universalista e dal feroce globalismo del pensiero unico, sotto le spoglie pecorine d’irreversibile e parcellizzato consumismo e di disgregato umanitarismo disidentitario.
Bigalli ha poi riaffermato, nel suo veloce intervento, la necessità di una lettura dialettica, non nella pratica di riduzione, comunque operata dalla materialità progressiva o dallo spiritualismo parolaio, quanto in una giusta applicazione della “coppia degli opposti”, con insistite e pertinenti citazioni che ora, nella modernità più estrema, ci supportino ad una responsabilità:
“...di critica non reazionaria del moderno, di tentativo di coniugare tradizione e socialità. Un mondo nel quale c’è ancora tanto da scavare, per riuscire a dare un volto plausibile al Novecento, aldilà degli anatemi e delle immaginette. In questo compito, Giovanni Sessa è prezioso aiuto...”
Giovanni Sessa ha poi ripercorso velocemente il dettato di tutto il suo libro che, pur dividendosi in cinque saggi di diverso tema, ha una compiuta univoca direzione di significante, prima ricordandoci alcuni esempi di metodo tradizionale, direttamente od indirettamente esplicato, nei casi di Spann, Heinrich, Bachofen, Evola e Zolla e poi riconducendoci, nella lettura anassimandrea di Heidegger ed in quella sempre anassimandrea di Colli, al centro di tutta la sua ricerca filosofica, cioè alla esegesi dell’Arché, come originario e sempre possibile, con le giuste puntualizzazioni rispetto ad ogni tipo di montante scolastica.
Il lavoro complessivo di Sessa risulta come il più spinto tentativo attuale, compiuto con un rigore massimo di rispetto dei testi ed una contemporanea massima capacità di visione, di ricomprensione di tutta una ricerca filosofica e di tutta una temperie spirituale, che ora chiede una nuova udienza proprio a fronte della massima caduta delle attese e delle speranze, nell’ottica di un pensiero di tradizione, capace per forza e retaggio di non perdersi ed anzi di ritrovarsi pienamente, fuori dall’atomizzazione e dal narcisismo.
Sandro Giovannini