domenica 28 ottobre 2012

L'INFORMAZIONE DIETRO LE SBARRE

IN REALTÀ, siamo di fronte a un popolo di informatissimi, frenetici idioti che sanno tutto e non capiscono nulla. ( da "Un popolo di frenetici informatissimi idioti" di Franco Ferrarotti - Edizioni Solfanelli, 2012 - pag. 10) Mentre il Parlamento si attarda nell'esame del disegno di legge che dovrebbe riformare la normativa sulla diffamazione a mezzo stampa, dopo la controversa condanna del direttore del «Giornale» Alessandro Sallusti a quattordici mesi di reclusione per omesso controllo, riaffiorano fra gli stessi parlamentari dubbi, perplessità e riserve mentali sull'opportunità di estendere o meno le stesse regole all'informazione on line. Non c'è motivo per dubitare che la decisione assunta dalla Commissione Giustizia del Senato di trasferire la discussione sul provvedimento dalla sede deliberante a quella referente, rimettendo quindi l'approvazione definitiva all'assemblea di palazzo Madama, corrisponda - come assicura il senatore Vincenzo Vita (Pd) - alla volontà di «approfondire meglio alcuni punti che rischierebbero di essere di grave nocumento per la libertà d'informazione»: cioè pene pecuniarie altissime, censure, radiazione dall'Ordine dei giornalisti e quant'altro. E questo è senz'altro un impegno più che apprezzabile.Il nocciolo della questione tuttavia è chiaro: occorre abolire il carcere per i giornalisti, come hanno riconosciuto recentemente anche il presidente Napolitano e il ministro Severino, ma non si può rendere impossibile la vita dei giornali e nei giornali. I tempi, i ritmi, le condizioni del nostro lavoro, al servizio dell'opinione pubblica, sono tali da richiedere norme meno severe e più elastiche. Ciò non toglie naturalmente che, fatta salva la buona fede, si debbano tutelare i cittadini dai rischi non solo della diffamazione, ma anche del discredito personale e del logoramento d'immagine.Se tutto questo è vero, l'obiettivo fondamentale di una riforma dev'essere innanzitutto quello di ripristinare l'onore e la reputazione delle persone ingiustamente colpite. Un obbligo di rettifica, adeguata e tempestiva, diventa allora la pena maggiore che si può infliggere al giornalista (e al suo giornale) e nello stesso tempo il risarcimento morale più efficace per il diretto interessato, a cui può seguirne eventualmente uno materiale in proporzione al danno, alla personae alle modalità della stessa rettifica.Ma perché mai questi elementari principii non dovrebbero valere per l'informazione on line? Sappiamo bene che la Rete è il regno virtuale della libertà d'espressione e come tale va assolutamente salvaguardata. E sappiamo anche che un conto sono le testate giornalistiche, un altro conto sono i forum, i blog e via discorrendo.La diffamazione, però, è diffamazione con qualsiasi mezzo o supporto venga commessa: sulla carta stampata, per radio, in televisione, su Internet. Anzi, in quest'ultimo caso, spesso è aggravata dal cosiddetto «contagio virale» che si propaga automaticamente sul web attraverso i motori di ricerca. Non c'è motivo perciò di stabilire differenze di trattamento, a parte ovviamente quelle che derivano dalle rispettive caratteristiche di natura tecnica o economica.La libertà d'informazione, insomma, non può mai diventare libertà di diffamazione. E questo vale per i giornali di carta, per quelli on line e per i blog, termine che - come si sa - deriva dalla contrazione di web-log e sta per «diario in rete». Altrimenti, si rischia di autorizzare una nuova forma di diffamazione telematica all'insegna dell'impunità diffusa.Non si tratta, dunque, di mettere l'informazione dietro le sbarre. Ma piuttosto di stabilire regole valide per tutti coloro che esercitano legittimamente questo fondamentale diritto. Anche i giornalisti e i blogger sono uguali di fronte alla legge. (sabato@repubblica.it)
GIOVANNI VALENTINI

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